Elon Musk lavora per un Dogecoin più efficiente dopo lo stop ai Bitcoin

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Elon Musk lavora per un Dogecoin più efficiente dopo lo stop ai Bitcoin

La decisione di Tesla di sospendere gli acquisti di automobili tramite Bitcoin a causa dell’elevato uso di combustili fossili nelle operazioni di mining e nelle transazioni, ha scatenato un grande dibattito online, ma soprattutto si registrano nuovi interventi da parte di Elon Musk, sempre a mezzo Twitter, sulla vicenda.

Dopo ore di silenzio, l’imprenditore ha pubblicato un grafico (il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, CBECI) in cui si vede l’impennata del consumo energetico della rete legata ai Bitcoin, una tendenza definita “folle” dallo stesso Musk, quasi a voler dimostrare a chi l’ha accusato di essere un semplice speculatore che il problema è reale. Poi, sempre nel solco di questa improvvisa svolta green, Musk invoca una tassa sul carbonio.

Siccome dare un colpo al cerchio e uno alla botte non è specialità solo nostrana, in un altro tweet Musk gioca la carta del messaggio chiarificatore rispetto ai molti sostenitori delle criptovalute. “Per essere chiari, credo fermamente nelle criptovalute, ma non può portare a un aumento massiccio dell’uso di combustibili fossili, in particolare il carbone”. E poi, ecco l’annuncio: “Stiamo lavorando con gli sviluppatori di Dogecoin per migliorare l’efficienza del sistema delle transazioni. Il potenziale è promettente“.

Nella dichiarazione delle scorse ore in cui “scaricava” Bitcoin, Tesla disse di aver rivolto l’attenzione verso altre criptovalute in grado di saure “meno dell’1% dell’energia per transazione di Bitcoin”. Può essere il Dogecoin la risposta? Premettiamo che non è chiaro al momento quanto sia serio l’impegno di Tesla/Musk, in che direzione vada l’aiuto o persino se Musk fosse serio.

Prendendolo in parola, ricordiamo che è di tre giorni fa il sondaggio con cui l’imprenditore chiedeva ai follower su Twitter se Tesla dovesse accettare Dogecoin per l’acquisto di auto, ricevendo uno schiacciante 78% di risposte favorevoli. Per ora, gli unici fatti concreti sono l’impennata del valore del Dogecoin, salito di oltre il 13% in poche ore, e il crollo del Bitcoin nelle ultime 48 ore.

Il Dogecoin ha davvero basi migliori del Bitcoin sul fronte della sostenibilità ambientale? Fondamentalmente no, in quanto anche il Dogecoin si basa su un algoritmo Proof of Work. In un’intervista con The Verge, l’economista specializzato in criptovalute Alex de Vries l’ha definito “dannoso quanto il Bitcoin” sotto quel punto di vista, in quanto se il valore del Dogecoin fosse simile Bitcoin, l’impatto ambientale sarebbe il medesimo.

De Vries ha poi commentato l’intera vicenda, dall’apertura allo stop ai Bitcoin da parte di Tesla. “All’epoca rimasi scioccato perché il Bitcoin non è una valuta compatibile con i fattori ESG (Environmental, Social and Corporate Governance)”, ossia sostenibile. “Sappiamo che una grande parte del mining è fatto usando carbone cinese, non è una novità. Il mining stesso è davvero una grande lotteria in cui le macchine che partecipano generano continuamente calcoli inutili, quindi stanno letteralmente sprecando risorse per creare nuovi blocchi per questa blockchain. È davvero strano che un’azienda con una dichiarazione di intenti che implica la decarbonizzazione del Pianeta venga coinvolta in una valuta che alla fine richiede lo spreco di risorse naturali, in particolare i combustibili fossili”.

La svolta delle scorse ore è stata accolta da De Vries con un “meglio tardi che mai”, anche se obietta come tutti che non vi siano stati cambiamenti degni di nota nei 49 giorni intercorsi prima della sospensione (ed è per questo motivo che tanti pensano che il messaggio ambientale di Musk nasconda ben altro, ndr). Secondo l’economista aspettarsi un Bitcoin alimentato maggiormente dalle energie rinnovabili “non ha senso”, in quanto si tratta di energia “stagionale” e che non può garantire un funzionamento quotidiano e per tutto l’anno.

“Ad esempio, si è recentemente affermato che i miner potrebbero usare l’energia solare per l’estrazione di Bitcoin, il che sembra un’ottima idea. Se però leggete cosa dovrebbe accadere per farlo, i miner di Bitcoin dovrebbero rimanere spenti mezza giornata affinché funzioni”. E siccome chi investe denaro in sistemi per il mining deve massimizzarne l’impiego prima che diventino obsoleti, è chiaro che non è accettabile operare solo per mezza giornata, quindi l’incentivo a passare all’energia rinnovabile viene meno.

De Vries ritiene inoltre che il passaggio dei miner all’energia rinnovabile potrebbe poi creare problemi ad altri settori e sarebbe come ammantare il tutto di un tocco di vernice verde, perché il Bitcoin richiede un “uso eccessivo di hardware” che, nel momento in cui non restituisce profitti, non può essere riutilizzato per altri scopi nella maggior parte dei casi. “È spazzatura. […] Hai milioni di dispositivi che stanno diventando obsoleti in modo estremamente rapido. Ciò si traduce solo in un grande mucchio di rifiuti elettronici. Una singola transazione Bitcoin equivale a buttare via un iPhone 12 mini in termini di materiali“.

Se quindi non è il Dogecoin la risposta, o almeno la risposta migliore, c’è un’opzione migliore? Il passaggio a una criptovaluta basata su algoritmo Proof of Stake? Forse, visto che non è richiesta potenza di calcolo bruta per validare le transazioni. “Ciò risolve sia il fabbisogno energetico, sia quello di hardware“, sottolinea De Vries parlando di una richiesta energetica pari allo 0,1% di quella necessaria per il funzionamento del Bitcoin (da non dimenticare che Ethereum sta passando a un algoritmo PoS).

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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