Il telescopio spaziale James Webb ha individuato galassie nate 400 milioni di anni dopo il Big Bang

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Il telescopio spaziale James Webb ha individuato galassie nate 400 milioni di anni dopo il Big Bang

Recentemente sono state pubblicate alcune immagini e dati raccolti dal telescopio spaziale James Webb con soggetto la luna di Saturno, Titano. Si è trattato di un momento importante in quanto era da tempo che gli scienziati erano “curiosi” di avere la possibilità di osservare questo oggetto celeste con le potenzialità offerte dal nuovo strumento scientifico. Ma JWST è anche pensato per osservare molto più in là! E una delle ultime novità riguarda la raccolta di dati di galassie nate circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang.

jwst galassie

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Non è la prima volta che Webb viene impiegato per osservare oggetti celesti così anziani e così lontani permettendo così di sfruttare la sua capacità di catturare anche le più flebili emissioni di raggi infrarossi che giungono in direzione della Terra dopo miliardi di anni (e a distanze di miliardi di anni luce). A fine agosto 2022 avevamo scritto di Maisie che si sarebbe formata circa 290 milioni di anni dopo il Big Bang e ora le nuove osservazioni permettono approfondire l’analisi dell’Universo primordiale.

Il telescopio spaziale James Webb e le galassie antiche

Secondo quanto riportato dalla NASA le galassie oggetto di questo studio sarebbe nate quando l’Universo aveva circa 400 milioni di anni mentre la luce ha impiegato 13,4 miliardi di anni per raggiungere il JWST (ossia il 2% dell’età dell’Universo). Gli scienziati del team internazionale hanno così confermato che effettivamente le galassie analizzate in precedenza sono effettivamente “vecchie” e distanti e non si tratta di un errore nell’analisi.

Emma Curtis-Lake (Università dell’Hertfordshire nel Regno Unito) ha dichiarato “vedere lo spettro rivelato come speravamo, ha confermato che queste galassie si trovano effettivamente al limite della nostra visuale, alcune più lontane di quanto Hubble potesse vedere! È un risultato estremamente entusiasmante per la missione”. C’è anche un po’ di Italia nel team internazionale con Stefano Carniani (Scuola Normale Superiore di Pisa) che ha aggiunto “questi sono di gran lunga gli spettri infrarossi più deboli mai catturati. Rivelano ciò che speravamo di vedere: una misurazione precisa al limite della lunghezza d’onda della luce dovuta alla dispersione dell’idrogeno intergalattico”.

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Per riuscire a catturare questo genere di emissioni sono stati impiegati gli strumenti NIRCam (Near-Infrared Camera, vicino infrarosso) e il NIRSpec (Near-Infrared Spectrograph). La ricerca di questo tipo di informazioni è stata una delle basi per la realizzazione del telescopio spaziale James Webb dando origine anche al programma JADES (acronimo di JWST Advanced Deep Extragalactic Survey). Le osservazioni dureranno circa un mese complessivamente anche se verranno distribuite su due anni.

Gli scienziati hanno puntato il telescopio spaziale nella zona dove Hubble aveva già scrutato il cielo per creare l’Ultra Deep Field (nel 2023 gli scienziati osserveranno anche l’Hubble Deep Field). Webb ha iniziato le osservazioni con NIRCam per 10 giorni con nove diversi filtri coprendo un’area quindici volte più grande di quella che aveva osservato Hubble. In particolare nelle immagini rilasciate si può alla luce a 1,15 µm (filtro 115 W) è stato assegnato il blu, la luce a 2,0 µm (filtro 200 W) è stato assegnato il verde e mentre il rosso è stato assegnato ai 4,44 µm (filtro 444 W).

Si è passati poi a NIRSpec che è stato impiegato per circa tre giorni raccogliendo le emissioni di 250 galassie distanti. Questo ha permesso di misurare con precisione lo spostamento verso il rosso (redshift) di queste galassie permettendo anche di avere indicazioni sui gas contenuti e sulla tipologia stellare presente. Quattro delle galassie osservate hanno redshift superiore a 10 e in questo gruppo, due hanno redshift superiore a 13. Questo significa che si tratta di luce proveniente da oggetti che erano presenti quando l’Universo aveva 330 milioni di anni. Per quanto le immagini non siano appaganti per gli occhi come quelle di altri oggetti celesti visti in passato (per esempio i “pilastri della creazione”) per gli scienziati si tratta di una vera e propria miniera di dati. Per chi volesse approfondire le analisi condotte per la realizzazione di queste immagini, sono stati anche pubblicati due studi intitolati Discovery and properties of the earliest galaxies with confirmed distances e Spectroscopy of four metal-poor galaxies beyond redshift ten.

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Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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