Bitcoin ancora più inquinante dopo il ban al mining della Cina, lo dice uno studio

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Bitcoin ancora più inquinante dopo il ban al mining della Cina, lo dice uno studio

Il ban della Cina al mining di criptovalute, ossia al processo di creazione di nuovi Bitcoin e altre monete digitali per mezzo di potenti computer affamati di energia, non sembra aver avuto un effetto positivo sulle emissioni del Bitcoin, anzi il quadro sarebbe persino peggiore.

Secondo uno studio pubblicato su Joule da alcuni ricercatori tra cui Alex de Vries, studioso da sempre attento all’impatto delle cryptovalute sulle emissioni e l’ambiente, la quota di energia rinnovabile usata per il mining sarebbe scesa dal 41,6% del 2020 al 25,1% dello scorso agosto, dopo che i miner hanno lasciato la Cina a causa delle disposizioni del governo di Xi Jinping.

In Cina i miner usavano una buona fetta di energia proveniente dall’idroelettrico, massimizzando i profitti, ma dopo la fuga negli Stati Uniti e in Kazakistan, la fonte di approvvigionamento energetico principale sarebbero diventate il gas e il carbone. Secondo i ricercatori, la rete Bitcoin causerebbe emissioni di carbonio comparabili a quelle della Grecia.

A gennaio il Bitcoin Mining Council stimava che il mix di elettricità sostenibile del mining globale era cresciuto fino a circa il 58,5% durante il quarto trimestre 2021, con un aumento dell’1% rispetto al terzo trimestre del 2021. Numeri che cozzano con il nuovo studio.

In base alle rilevazioni di de Vries e colleghi, la “fuga” negli Stati Uniti ha incrementato la proporzione di energia ricavata da fonti fossili e destinata al mining. “La rete degli Stati Uniti ha solo una piccola parte del suo intero sistema proveniente da fonti di energia rinnovabile”, ha affermato De Vries alla BBC, aggiungendo che molti degli Stati popolari tra i cripto-miner, come il Texas, il Kentucky e la Georgia, generano meno energia rinnovabile rispetto alla media nazionale. Il Kentucky, ad esempio, “concede agevolazioni fiscali per attirare i miner di Bitcoin e salvare le aziende carboniere”.

Il Kazakistan, invece, ha centrali elettriche a carbone che bruciano “carbone duro” e che sono più inquinanti delle controparti cinesi. Il risultato netto di questi cambiamenti, secondo le stime della ricerca, è che “l’intensità di carbonio di Bitcoin è aumentata di circa il 17%“. Il Bitcoin produrrebbe più di 65,4 megatonnellate di anidride carbonica all’anno, un valore superiore alle 56,6 megatonnellate di emissioni di anidride carbonica fatte registrare dalla Grecia nel 2019.

“L’impronta di carbonio per singola transazione di Bitcoin dovrebbe essere di 669 chilogrammi di anidride carbonica“, ha affermato De Vries, un valore paragonabile all’impronta di carbonio per passeggero di un volo andata e ritorno da Londra a New York.

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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