Alla scoperta delle soluzioni cookieless per l’advertising di Quantcast

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Alla scoperta delle soluzioni cookieless per l’advertising di Quantcast

I cookie di terze parti hanno fatto il loro tempo e questo sta rappresentando un grosso problema per chi fa pubblicità online. Una delle prime aziende a muoversi in questa direzione è stata Apple, con gli aggiornamenti al suo browser Safari e i nuovi aggiornamenti di iOS, che hanno seriamente preoccupato un colosso come Facebook, che si è trovato ad acquistare pagine pubblicitarie sui principali quotidiani statunitensi per spiegare come questa operazione rischiava di risultare un danno per aziende e consumatori. In realtà, il danno principale è per Facebook e le altre società che vivono profilando utenti ed erogando pubblicità: con queste modifiche avranno infatti molta meno visibilità sui comportamenti degli utenti. Ma è fuori di dubbio che chiunque si basi sulla pubblicità online per promuovere la propria attività risulti penalizzato.

quantcast

Abbiamo approfondito il tema insieme a Ilaria Zampori, Country Manager Italy & Spain di Quantcast, azienda che ha sviluppato l’omonima piattaforma per la pubblicità online.

Cosa sono i cookie di terze parti e perché eliminarli è un problema per chi fa pubblicità

I cookie sono dei minuscoli pezzi di codice che vengono salvati localmente ed elaborati dai browser per riconoscere gli utenti che tornano su un sito. Di per sé possono essere utilissimi, per esempio per evitare di poter inserire ogni volta la password per accedere a un sito o servizio, e sono un potente strumenti nelle mani degli inserzionisti, che possono così osservare il comportamento dei singoli utenti, valutando quando sono sul sito, cosa fanno e via dicendo. Non identificano l’utente con nome e cognome, non è quello l’obiettivo, bensì l’ID dell’utente o, più correttamente, della sessione del browser che stanno utilizzando.

Esistono vari tipi di cookie, e fra quelli più invasivi ci sono quelli di terze parti: sono strumenti potentissimi che permettono di tracciare l’utente su più siti, e inevitabilmente per chi si occupa di pubblicità online sono fondamentali, dal momento che permettono di acquisire ulteriori informazioni sugli utenti, anche quando stanno visitando altri siti, così da effettuare retargeting delle inserzioni (per esempio, inviare una pubblicità sul profilo Facebook di tutti coloro che hanno visitato una pagina di un sito in un determinato periodo di tempo). Dall’altro lato, sono un po’ troppo invasivi, tanto che browser come Firefox e Safari hanno iniziato a bloccarli. Dal 2023, sarà il turno di Google, che aggiornerà Chrome per ignorare i cookie di terze parti: trattandosi del browser più diffuso, l’impatto sarà decisamente più forte. Simile a quello dell’aggiornamento di iOS che ha impedito alle aziende – Facebook i primis – di tracciare il comportamento degli utenti attraverso varie app rimuovendo l’unique device id. Una scelta facoltativa da parte dell’utente, ma i dati diffusi mostrano come i consumatori diano molta importanza alla loro privacy e preferiscano non venire tracciati: le statistiche indicano che più del 90% degli utenti ha preferito eliminare questa possibilità di venire “tracciati”, nonostante i massicci investimenti pubblicitari di Facebook per suggerire all’utenza di fare il contrario e tenerlo attivato.
In pratica, ormai le aziende devono adeguarsi e trovare nuove soluzioni che siano meno invasive per identificare raggiungere il loro pubblico di riferimento.

La piattaforma di advertising di Quantcast

Ilaria Zampori_General Manager Italy&Spain di Quantcast

Non è la prima volte che il settore degli online ADV viene stravolto, ma questa novità è importante perché cambia non solo il modo di raccogliere pubblicità, ma anche come si coordinano gli operatori”, ci spiega Ilaria Zamponi, sottolineando come non sia necessariamente un male. Anzi, stimola le aziende a cercare un maggior dialogo coi loro clienti. In che senso? Coi cookie di terze parti attivi, è relativamente facile per un’inserzionista vedere il comportamento di un utente, comprendere i suoi gusti e le sue passioni: basta che un cliente faccia una ricerca su Google o legga un articolo su un tema specifico e sarà tracciato da un cookie di terze parti o da strumenti per la gestione dei cookie come per esempio il pixel di Facebook. A questo punto, chi avrà cercato informazioni su un paio di scarpe, o su un nuoto TV, probabilmente vedrà più post sponsorizzati dedicati a questi temi.

Quando tutti i principali browser avranno abbandonato i cookie di terze parti, gli inserzionisti non potranno più raggiungere tanto facilmente questi utenti e, idealmente, dovranno sforzarsi di instaurare un dialogo di valore con gli utenti per convincerli a lasciare i loro dati personali – siano essi e-mail o numero di telefono – così da poterli contattare. Inevitabilmente, per convincere un utente a dare un dato personale, dovranno essere in grado di offrire qualcosa più di un messaggio pubblicitario: contenuti di valore, sconti, offerte personalizzate. Devono fondamentalmente trovare nuove leve e non sarà facile: “senza i cookie editori e inserzionisti faranno più fatica a raggiungere il loro target, dato che non hanno più a disposizione una serie di dati che offrono grande valore”.

Attenzione, però: il fatto che vengano limitati i cookie di terze parti non significa che verranno eliminati in generale cookie e tracker. Quelli principali, di prima parte, rimarranno. Se visitate il sito di Edge9, per dire, continueremo ad avere informazioni limitate a quanto fate all’intero del nostro sito. Così facendo il rischio è quello che i più grandi, a partire da Google e Amazon, “chiudano” ulteriormente i loro walled garden, cercando di tenere gli utenti sempre al loro intero, così da poter avere più dati di profilazione possibili.  Un rischio concreto secondo Zamponi: “Questa mossa non aiuta l’ecosistema in sé: chi ha già grandi quantità di dati parte avvantaggiato e può chiudere ulteriormente il suo walled garden. Ma nel settore è partita una fase di sperimentazione che ha coinvolto tutti e l’industria [dell’adv] è chiamata a trovare un’alternativa valida, a lungo termine, adatta a tutti i player del mercato. Non ci sarà una soluzione unica, ma saranno varie, basate su differenti tecnologie”. Per assurdo, insomma, la decisione di eliminare i cookie di terze parti per garantire la privacy potrebbe andare a scapito degli utenti, dal momento che rischia di spingere i principali attori del settore a “rafforzare” i loro confini, facendo in modo che l’utente passi più tempo sui loro siti e “scoraggiandoli” ad uscire. Un esempio è Facebook, che da anni limita la diffusione dei post contenenti link esterni: se un comune post con immagine verrà visto (in maniera organica, cioè senza sponsorizzazioni) da X persone, una volta inserito un link la visibilità risulterà più limitata.

Come traccia i clienti Quantcast?

Le soluzioni per l’advertising di Quantcast si appoggiano alla piattaforma proprietaria Ara, che analizza differenti segnali e offre differenti opzioni per identificare gli utenti. Fondamentalmente, Ara agisce su quattro aree per indirizzare gli adv al pubblico più adatto: gli identificatori unici (Unique ID), i cookie di prime parti, i Flog di Google (e in generale le coorti) e l’intelligenza artificiale.

quantcast ara

I cookie di prima parte permettono ai clienti di Quantcasti di accedere ai dati categorizzati e misurati su siti molto popolari, fra cui Buzzfeed, Voce, Forbes, Rolling Stone, Lonely Planet. La piattaforma come detto fa leva anche sugli unique ID di chi ha deciso di offrire il consenso al trattamento dei dati, oltre a creare una mappa approfondita dei contenuti presenti su vari siti così da categorizzare in maniera precisa i loro contenuti. Infine, la caratteristica più innovativa è quella che sfrutta intelligenza artificiale e machine learning per analizzare i comportamenti degli utenti e andare alla ricerca di schemi di comportamento, arrivando a creare un modello predittivo dei comportamenti così da consentire agli inserzionisti di comprendere il luogo (virtuale) e il momento ideale per spingere i contenuti. Come ci spiega Zamponi, Ara analizza più di un trilione di data point per creare i suoi modelli predittivi, adattando i parametri in tempo reale sulla base delle esigenze del cliente. Grazie al machine learning, si può a tutti gli effetti realizzare campagne che non fanno affidamento ai cookie di tracciamento, ma che risultano comunque molto efficaci.

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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