Flessibile e richiede 100 volte meno corrente: è la memoria phase change della Stanford University

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Flessibile e richiede 100 volte meno corrente: è la memoria phase change della Stanford University

Dopo il processore, il mondo fa un passo avanti verso la memoria flessibile. La corsa per creare elettronica integrabile in vestiti o dispositivi IoT di varie forme a basso consumo fa segnare un progresso grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori della Stanford University che è riuscito a sviluppare una forma flessibile di memoria “phase change” (PCM, in italiano “memoria a cambiamento di fase”).

La memoria PCM salva i bit sotto forma di stato resistivo che si mantiene anche in assenza di alimentazione. Nella sua fase cristallina, ha una bassa resistenza, ma facendo fluire abbastanza corrente il cristallo si scioglie “congelandosi” in una fase amorfa più resistiva. È proprio questa differenza nel modo in cui l’elettricità viene condotta che permette di salvare 0 e 1, con lo stato amorfo che rappresenta lo 0 logico e quello cristallino un 1 logico. Il processo è reversibile. La PCM può inoltre salvare livelli intermedi di resistenza, ovvero più di un bit di dato.

Finora l’ostacolo maggiore alla creazione di una PCM flessibile era la quantità di corrente coinvolta nel processo: deve essere infatti sufficiente per “fondere” il materiale PCM, resettando la memoria, ma non il tutto il resto. Alla Stanford sono riusciti a sviluppare una soluzione che richiede una corrente pari a un ordine di grandezza inferiore rispetto alle precedenti versioni flessibili. “In questo studio, dimostriamo una densità di corrente di commutazione di ~ 0,1 mega-ampere per centimetro quadrato in un superreticolo PCM flessibile, un valore che è uno o due ordini di grandezza inferiore rispetto a una PCM convenzionale su substrati flessibili o di silicio”.

I materiali solitamente coinvolti nella creazione di una memoria PCM non funzionano bene su substrati flessibili come la plastica. Così alla Stanford, a conoscenza di un precedente studio giapponese del 2011, hanno deciso di mettere a punto quello che chiamano superreticolo, ossia cristalli fatti da strati ripetuti in scala nanometrica composti da materiali diversi. I ricercatori parlano di “strati di tellururo di antimonio e tellururo di germanio depositati direttamente su un substrato di poliimmide flessibile”.

La sfida era quella di confinare “la giusta corrente nei giusti punti”, ed è stata vinta sfruttando le capacità dei substrati polimerici: oltre ad essere flessibili, sono per la maggior parte anche isolanti, quindi non conducono elettricità o calore molto bene. E questo si è rivelato fondamentale per aumentare l’efficienza della PCM. In questo modo è stato possibile intrappolare il calore necessario per fondere parzialmente il dispositivo solo dove necessario, il che permette di non generare tanto calore e, a sua volta, di applicare meno energia per resettare il dispositivo.

“Questa ridotta densità di corrente di commutazione è resa possibile dal confinamento del calore nel materiale del superreticolo, assistito dal confinamento della corrente in un dispositivo del tipo a pori e dal substrato flessibile termicamente isolante. I nostri dispositivi mostrano anche un funzionamento multilivello con una deriva a bassa resistenza. La bassa corrente di commutazione e il buon rapporto di attivazione/disattivazione della resistenza vengono mantenuti prima, durante e dopo ripetute piegature e cicli”, spiegano i ricercatori.

Il dispositivo è stato realizzato praticando un foro nell’ossido di alluminio. Il foro è stato quindi riempito con strati alternati di tellururo di stagno e tellururo di stagno-gallio che hanno agito come materiale a cambiamento di fase. Gli elettrodi hanno attraversato l’ossido di alluminio collegando le due estremità del dispositivo costruito su un materiale polimerico flessibile.

Le simulazioni hanno mostrato che la combinazione di ossido di alluminio e polimero intrappolava il calore nel foro in cui si trovava il materiale a cambiamento di fase. Ciò è stato confermato anche dalla riduzione dei requisiti di corrente necessaria per resettare il dispositivo, oltre 100 volte più bassi rispetto ai dispositivi attuali fabbricati su un substrato di silicio. Aumentare la quantità di ossido di alluminio si è rivelata la “giocata” vincente.

I ricercatori hanno dimostrato che la PCM realizzata può essere avvolta attorno a un’asta di metallo con un diametro di 8 millimetri e continuare a funzionare normalmente. Le prestazioni sono state le stesse dopo 200 cicli di piegatura e raddrizzamento e la stabilità dell’archiviazione è rimasta buona fino a oltre 1.000 letture. Infine, l’archiviazione di più bit è stata dimostrata su diversi livelli di resistenza.

Perciò, come avrete intuito, seppur al momento i risultati siano incoraggianti (tanto che i principi scoperti potrebbero applicarsi alla memoria phase change rigida), siamo ancora lontani da un’applicazione commerciale.

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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