WhatsApp è il servizio di messaggistica che comunica di più con le forze dell’ordine: lo rivela l’FBI

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WhatsApp è il servizio di messaggistica che comunica di più con le forze dell’ordine: lo rivela l’FBI

La scelta di un’app di messaggistica porta dietro svariate considerazioni, tra le quali anche il livello di sicurezza: quanto riservate e al sicuro sono le nostre comunicazioni? E’ un parametro che per molti può risultare di difficile valutazione, specie per coloro i quali sono meno addentro ai dettagli tecnici di come funziona un sistema di messaggistica.

Per semplificare il processo decisionale viene in soccorso un documento recentemente pubblicato da parte della divisione tecnologica ed operativa dell’FBI, all’interno del quale viene stilata una descrizione facilmente comprensibile delle specifiche funzionalità dei servizi di messaggistica. Il documento va di fatto ad elencare il grado di facilità con cui l’FBI ha potuto accedere legalmente ai contenuti e metadati di varie app di messaggistica liberamente scaricabili.

Non si tratta di un documento classificato, ma il suo uso dovrebbe essere limitato solamente alle forze dell’ordine e a personale ufficiale. Il documento è stato ottenuto da un gruppo chiamato Property of the People tramite una richiesta basata sul Freedom of Information Act, risale allo scorso gennaio e contiene informazioni aggiornate a novembre 2020. E’ stato RollingStone a pubblicare per la prima volta il documento.

WhatsApp: informazioni quasi in real-time alle forze dell’ordine

Si legge nel documento: “Viene illustrata di seguito, a partire da novembre 2020, la capacità dell’FBI di accedere legalmente a contenuti protetti sulle principali applicazioni di messaggistica, compresi i dettagli sulle informazioni accessibili sulla base del processo legale applicabile. I dati forniti dalle società elencate di seguito, ad eccezione di WhatsApp, sono in realtà registri di dati latenti forniti alle forze dell’ordine non in tempo reale e possono influire sulle indagini a causa di ritardi nella consegna”.

Alcune delle informazioni presenti nel documento sono in realtà già conosciute: per esempio è noto che Apple, su richiesta, può fornire testi completi inviati tramite la piattaforma iMessage alle forze dell’ordine se tali messaggi sono salvati su iCloud, così come molti servizi sono in grado di raccogliere metadati anche se non possono condividere i contenuti di un messaggio. La novità sta nella profondità di dettaglio del documento, che per ciascun servizio di messaggistica indica quali e quante informazioni possono essere ottenute.

E in particolare si scopre che tra le varie app di messaggistica analizzate (iMessage, Line, Signal, Telegram, Threema, Viber, WeChat, WhatsApp e Wickr) è Whatsapp l’unica a fornire dati quasi in tempo reale in risposta alle richieste delle forze dell’ordine. Per Whatsapp il documento indica:

-Contenuto del messaggio: limitato*
-Citazione in giudizio: può restituire le informazioni di base dell’utente
-Ordine del tribunale: le informazioni di base dell’utente e altre informazioni come utenti bloccati
-Mandato di perquisizione: contatti della rubrica e gli utenti WhatsApp che hanno l’obiettivo nei loro contatti
-Pen register: inviato ogni 15 minuti, fornisce origine e destinazione di ogni messaggio

L’asterisco accanto a “limitato” viene così esplicitato: “se l’obiettivo utilizza un iPhone e i backup di iCloud abilitati, le risposte di iCloud potrebbero contenere dati di WhatsApp ed includere il contenuto del messaggio”.

WhatsApp ha rilasciato a Rolling Stone una dichiarazione sull’argomento: “Esaminiamo, convalidiamo e rispondiamo con attenzione alle richieste delle forze dell’ordine sulla base delle leggi applicabili, e lo diciamo con chiarezza sul nostro sito Web e nei resoconti sulla trasparenza. Il documento illustra ciò che abbiamo detto: che le forze dell’ordine non hanno bisogno di violare la crittografia end-to-end per indagare con successo sui crimini”.

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