L’automazione è alla base dell’IT: ne parliamo con Red Hat

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L’automazione è alla base dell’IT: ne parliamo con Red Hat

Si può parlare di automazione sotto moltissimi profili, dall’avvento del telaio Jacquard in poi. Tuttavia, in ambito IT l’automazione è ancora un ambito relativamente nuovo e che solo ora viene considerato come assodato. Ma cosa vuol dire realmente “automazione” e cosa ci si può aspettare da essa? Ne abbiamo parlato con Massimo Ferrari, Consulting Product Manager in Red Hat.

Cosa vuol dire “automazione”?

Edge9: Quale ruolo ha l’automazione nell’IT e quali strumenti offre Red Hat in questo ambito?

Ferrari (in foto, sotto): “Una parte interessante del modo in cui noi approcciamo il tema dell’automazione è che siamo divisi in tre team: abbiamo domini di competenza per cui abbiamo guardato com’è fatta un’organizzazione IT di grandi dimensioni e abbiamo riconosciuto che ci sono ancora, al di là del discorso dei silo, dei dipartimenti che si occupano verticalmente di qualcosa perché il problema che stanno risolvendo o che gestiscono ha delle unicità che vanno approcciate in mdo diverso. Internamente siamo dunque divisi in hybrid cloud, sicurezza, networking, infrastruttura ed edge. Non ci fermiamo qui, ma semplicemente a ognuno di questi domini vengono applicati il product management e l’engineering perché magari c’è qualcosa di unico su cui bisogna intervenire specificamente.”

“La cosa interessante è come noi inquadriamo l’automazione rispetto ad altri, forse perché è un prodotto all’interno di un portfolio più grande: l’automazione è una tecnologia che funge da base per fare altre cose. Se si guarda macroscopicamente un’architettura realizzata da noi, l’automazione sta al centro: si può definire come orchestrator, o come arbitrator, ma [il software per l’automazione] funge un po’ da semaforo che regola ed esegue stando al centro dell’archittettura, senza essere l’elemento che decide o che esegue poi effettivamente i compiti, ma decide come o quando vengono eseguiti e rende quest’esecuzione auditable. Il problema oggi non è vendere l’automazione o convincere la gente ad automatizzare, il problema è: qual è la tecnologia di automazione da implementare e perché? Il discorso si può ridurre alla semplicità di apprendimento, di integrazione, di manutenzione e di estensione – che è poi un po’ il motivo per cui siamo leader del mercato. Il motivo per cui Red Hat acquisì Ansible nel 2015 non è solo perché era un matrimonio nato in paradiso dal punto di vista dell’open source, ma l’approccio di Ansible risolveva molti di questi problemi.”

“Al momento il mercato dell’automazione è spaccato in due: da un lato chi ha prodotti super-verticali, dall’altro i generalisti. Il mondo super-verticale è fatto di strumenti che fanno una cosa specifica su una piattaforma specifica, quindi sono incredibilmente bravi a coprire un caso d’uso: è il classico concetto di best of breed che avevano le aziende dieci anni fa. Questo mondo sta sparendo, e per un motivo molto banale: prima c’erano tante piccole città-Stato all’interno di un’azienda, ma per ragioni di mercato c’è stato un cambiamento. È anche una ragione di competenze: se come azienda perdi la persona (o le persone) che conoscono un certo strumento, devi trovare qualcun altro che va poi formato. C’è molto il concetto di conoscenza riutilizzabile e di assicurarsi che tale conoscenza si diffonda nell’organizzazione.”

“Noi siamo dei generalisti: siamo, di fatto, un framework di automazione. Ansible guarda all’automazione come approccio, anziché come attività singola diretta a uno scopo: guardandola in questo modo, è fatta di un architetto e di persone che la tengono in produzione. C’è poi il linguaggio per far sì che ci siano tutti gli strumenti per rendere l’automazione semplice, flessibile, potente eccetera.”

“Il modo in cui Ansible è stato costruito significa che è modulare e le integrazioni vivono per conto loro, con un ecosistema di ISV che fa sì che l’utente non debba avere per forza le competenze dello specifico settore (per fare un esempio, i firewall). Il problema che abbiamo dovuto affrontare è che non è possibile costruirsi da sé queste integrazioni: per prima cosa non si hanno internamente le competenze, secondariamente è impossibile tenere tutto aggiornato, da ultimo si finisce per dedicarsi solo allo sviluppo delle integrazioni e non si fa avanzare il prodotto principale. Abbiamo dunque creato un programma per cui i terzi sviluppano le integrazioni e le mantengono: funziona per via di come Ansible è percepito dal mercato, perché non è sentito dalle aziende come un pericolo per il proprio valore aggiunto e perché permette ai prodotti di finire nelle mani di più gente e, quindi, di vendere di più. Il sistema non si autoalimenta, ma non andiamo nemmeno a reclutare partner: spesso vengono portati dai clienti. Il risultato è che potenzialmente Ansible si può applicare a tutti i settori.”

Edge9: in quali ambiti spicca dunque Ansible? Quali sono i suoi obiettivi?

Ferrari: “Ansible ha acquisito sin da subito una certa forza nella parte di networking fisico, ma ora c’è anche la parte di software-defined networking; c’è poi la parte di sicurezza che facciamo da diversi anni (response and remediation…); la parte di hybrid cloud per diversi anni è stata usata per cloud sia pubblico sia privato, ma solo negli ultimi anni il concetto di cloud ibrido si è imposto come ponte fra le due ed è più visibile; la parte dedicata all’edge è un po’ una scommessa che va al di là delle telco su cui l’azienda ha scommesso finora e si concentra sull’edge industriale.”

“L’approccio di progettazione parte dall’esperienza utente, perché volevamo evitare di cadere nella classica trappola in cui si pensa che l’utente di una certa funzionalità voglia fare le cose in un certo modo (ad esempio, perché è un amministratore di sistema) e si finisce per creare un prodotto che è difficile da usare per tutti gli altri. Molti degli strumenti che stiamo sviluppando sono creati per essere generalisti dal punto di vista dell’esperienza utente.”

“Nel momento in cui si esce dalla prospettiva del semplice IT e si comincia a pensare ‘questa è automazione per implementare un’applicazione di ticketing all’interno dell’azienda’, improvvisamente il responsabile del processo non sono ingegneri sparsi per l’azienda, ma una persona che deve gestire il processo, il budget, un eventuale SLA e così via. La persona che pensa all’automazione e guarda a come viene eseguito il processo non è più, dunque, necessariamente un tecnico: può essere una persona di business. Il che crea poi altri problemi. C’è un modo in cui è possibile rendere l’automazione accessibile anche ai non-tecnici a livello di creazione dei processi di automazione? È una sfida molto interessante ed è la direzione verso cui stiamo andando in questo momento.”

L’automazione e il suo impatto sul lavoro

Edge9: Qual è l’impatto che può avere l’automazione sul lavoro? C’è il rischio che vengano eliminati posti di lavoro a causa sua?

Ferrari: “La rivoluzione industriale ha tolto posti di lavoro o ne ha aggiunti? Ne ha aggiunti, ovviamente. Ma è interessante capire perché sia così: potenzialmente l’automazione può creare nuovi posti di lavoro, ma indubbiamente quello che fa è rendere ora il lavoro delle persone di maggior valore. Se si pensa al lavoro di una persona nelle OT operations di una grande azienda, un grande classico è che lavorino il 50% di più di quanto dovrebbero: parte è technical debt, parte è l’assenza di processi, parte è il fatto che ogni volta che, ogni volta che una grande organizzazione adotta una nuova tecnologia, non pensa a un’altra. Basti pensare all’adozione del cloud pubblico dieci anni fa: si è detto ‘bene, ora eliminiamo i data center!’, ma dieci anni dopo ci sono il cloud pubblico, il data center e cinquanta altre cose, ma non necessariamente c’è il doppio delle persone a occuparsene. C’è una scala maggiore di cose da gestire, che sono più complesse, e c’è un’aspettativa che le cose avvengano in tempo reale quando in realtà, in molti casi, così non è. Senza tempo libero, è difficile poi che le persone riescano a fare innovazione. L’automazione mitiga, se non totalmente almeno in parte, questa condizione di overworking.”

“La questione del numero di posti di lavoro dipende molto dal settore. Liberare il tempo delle persone può essere un’opportunità per creare nuove linee di business. L’esempio delle assicurazioni è interessante, perché erano realtà lente e su tempi molto lunghi – basti pensare alle assicurazioni sulla casa. Ora ci sono prodotti assicurativi per i viaggi, ad esempio, e nel bene o nel male si tratta di qualcosa reso possibile dall’IT ed è una linea di business totalmente nuova. E necessariamente ciò ha creato nuovi posti di lavoro. Poi non necessariamente l’automazione può avere un impatto positivo: pur avendo la tecnologia, se i processi aziendali sono vecchi, prima di riscriverli ci vuole del tempo.”

L’open source come punto di forza

Edge: Il fatto di essere open source dà qualche vantaggio ad Ansible?

Ferrari: “Dipende dal punto di vista. Dal nostro, ovvero di chi realizza il prodotto, è come avere un enorme sistema di ricerca e sviluppo che crea un sacco di innovazione da solo. È anche un modello di sviluppo interessante, perché significa che si possono creare prototipi da dare alla comunità ed è questa poi che fornisce idee e nuove direzioni. Dal punto di vista del cliente ci sono pro e contro. Sicuramente i clienti vivono l’open source come un’opportunità perché hanno maggior controllo sul prodotto e minor lock-in (almeno teoricamente), ma alcuni mercati non possono semplicemente rivolgersi a prodotti open source. Per fare un esempio, una banca non può semplicemente scaricare un software e usarlo: questo è il motivo per cui Red Hat esiste, alla fine, perché controlliamo la qualità e la sicurezza del software, facciamo il backporting, offriamo supporto sul lungo termine, assicuriamo che la filiera sia sicura…”

“Non tutti sanno, poi, che la comunità sta diventando molto ‘professionalizzata’: dieci anni fa c’erano molti che partecipavano nel proprio tempo libero per il proprio interesse personale, perché stava imparando, perché voleva restituire alla comunità e così via; oggi molti sono pagati per esserci. Sono dunque vendor, professionisti che partecipano apertamente. Il valore è che c’è un ‘moltiplicatore di forza’, ci sono più occhi e punti di vista che consentono di superare il bias implicito che c’è quando si crea software. Dal punto di vista del prodotto ci si risparmia molti tentativi. Un altro aspetto è che è possibile fare liberamente delle prove prima di adottare una tecnologia o di dover richiedere dimostrazioni e passare dunque per le lungaggini burocratiche delle aziende.”

Il ruolo dell’intelligenza artificiale

Edge9: qual è il ruolo dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’automazione?

Ferrari: “L’intelligenza artificiale, paradossalmente, è un’altra forma di moltiplicatore di forza come l’automazione: quest’ultima si può applicare all’analisi, alle operazioni da effettuare o sulla creazione del contenuto. Noi l’abbiamo applicata sulla creazione del contenuto perché è il punto ideale di convergenza dei discorsi fatti finora: l’ambizione è creare un sistema esperto di Ansible, perché abbassando la barriera d’ingresso all’automazione la si apre a molte più persone, perché si può applicare l’IA alla qualità e all’uniformità, e perché l’IA può permettere di estendere ciò che si vuol fare.”

“L’idea su cui stiamo investendo, ovvero dare più ‘mattoncini’ ai nostri clienti, è che quando c’è un framework che permette di fare quello che vuoi e come vuoi, il risultato è che si producono un sacco di cose ottime e un sacco di cose pessime. In particolare quando produci una cosa pessima, non hai gli strumenti per sapere che la cosa prodotta è pessima. Come faccio dunque a prendere qualcuno che sa tantissimo di automazione per metterlo nelle mani di qualcuno che non ne sa nulla? Come faccio a darti la possibilità di mettere in pratica la tua idea, a renderti possibile creare automazione che sia ottimale nel tuo campo e senza reinventare la ruota? Ora diamo appunto questi ‘mattoncini’ e consigliamo di partire da questi, ma in futuro potrebbe esserci un sistema che genera questi strumenti fondamentali su scala più ampia. Il risultato è che si aumenta la qualità di quanto prodotto (con meno problemi di malfunzionamenti, di documentazione…).”

“L’intelligenza artificiale ha un ruolo importantissimo in un contesto in cui i problemi citati all’inizio (scala, complessità e velocità) non andranno diminuendo, ma diventeranno molto più ampi. Vedendo le cose dal punto di vista della fantascienza, qual è il tipping point [ovvero il punto dopo il quale avviene un cambiamento] in cui ciò che si produce o si automatizza cambia radicalmente le cose rispetto a prima? Basta pensare a Netflix 15 anni fa: hanno costruito un sistema su vasta scala mai visto prima. Disney+ e Prime Video hanno fatto le stesse cose in due anni. Perché? Perché c’è stato un momento critico in cui alcuni problemi sono stati risolti, una serie di strumenti è stata creata, per cui questi sistemi (che cambiano la vita) possono essere creati in modo molto più veloce. Qual è il prossimo tipping point? Probabilmente sarà il fatto di poter produrre cose in maniera molto più efficace ed efficiente perché l’intelligenza artificiale si occuperà di porre le basi su cui costruire, per cui il focus sarà sulla parte innovativa.”

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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