Conformità, collaborazione, sicurezza: la visione di Proofpoint su come gestire la complessità del lavoro da remoto

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Conformità, collaborazione, sicurezza: la visione di Proofpoint su come gestire la complessità del lavoro da remoto

Il lavoro da remoto? Per svariate aziende è ormai diventato la norma ma ci sono ambiti in cui ancora questo approccio non convince. E non parliamo di quegli imprenditori ancorati a vecchi modelli che non riescono a comprenderne l’importanza (che non sono comunque pochi, in Italia), ma di settori dove l’apertura allo smart working può rappresentare un problema. Come nel caso dei servizi finanziari, dove la sicurezza e il rispetto della conformità normativa sono fattori chiave

Massimo Angiulli, Manager System Engineering di Proofpoint, spiega che la maggior parte dei rischi ricade in una di queste tre aree: rischi di conformità, app di collaborazione, IT e sicurezza. Analizziamole nel dettaglio.

Smart working e conformità normativa

Proofpoint_Massimo Angiulli

Nei settori fortemente regolamentati, come quello dei servizi finanziari, l’approccio generale è quello di disabilitare o proibire l’accesso ad alcuni strumenti e funzionalità tecnologiche, percepiti come rischiosi o troppo costosi da governare. Il rapporto tra rischi, costi e benefici non è sufficiente“, spiega Angiulli. “Tuttavia, in un mondo colpito dalla pandemia, le aziende poco flessibili nei confronti del lavoro a distanza rischiano di rimanere indietro rispetto alla concorrenza, di accumulare costi legati a un lavoratore  remoto inefficace e di non riuscire a ottenere i vantaggi di produttività che le moderne tecnologie possono offrire”.

Nonostante sia elevata la percentuale di dipendenti di società finanziare che operano da remoto (l’80%, secondo Osterman Research), quattro aziende su cinque affermano di non essere “molto preparate” a fronteggiare la questione. I problemi? La capacità di scalare e soddisfare il carico richiesto dalle soluzioni di accesso remoto, la sicurezza, il ripristino da attività dannose. Nonostante queste difficoltà, però, il 30% delle aziende prese come campione è favorevole al fatto che i propri dipendenti lavorino da remoto. 

App di collaborazione: sono fondamentali, ma ci sono controindicazioni

Il lavoro da remoto impone l’uso di piattaforme per la collaborazione e la stragrande maggioranza delle aziende ha introdotto nuovi strumenti, a partire da Slack, Zoom e Teams. App che accorciano le distanze e semplificano la comunicazione, ma che non sono esenti da qualche problematica. La prima difficoltà è la necessità di adattare i flussi di lavoro alla specifica piattaforma, fatto che renderà più difficile la verifica della conformità normativa. Un altro aspetto di cui tenere conto è la difficoltà nell’acquisire e archiviare le chat e lo scambio di documenti sulle differenti piattaforme usate dai vari membri del team per comunicare con l’esterno. Non va dimenticato poi l’aspetto relativo alla sicurezza informatica, che non fa dormire sonni tranquilli ai responsabili visto il crescente numero di campagne di attacco contro le piattaforme di comunicazione. 

Infine, Angiulli segnala un aspetto di cui spesso si tiene poco conto: le molestie. “Le molestie da parte di colleghi, dirigenti e terze parti nelle app di collaborazione sono in crescita. Sulla scia dell’aumento dell’utilizzo di Slack dall’inizio della pandemia, gli avvocati del lavoro hanno registrato un incremento delle denunce di molestie che coinvolgono la piattaforma“, sottolinea il manager. 

Mettere in sicurezza l’infrastruttura IT

Da quando le aziende hanno sposato, per necessità, il lavoro da remoto, la prima preoccupazione è sempre stata quella di mettere in sicurezza l’infrastruttura. Un compito per nulla facile quando i lavoratori sono fuori sede, anche perché è più difficile verificare il rispetto delle norme imposte dai team IT, come l’uso esclusivo di dispositivi forniti dall’azienda. Capita di frequente che i dipendenti utilizzino infatti i propri strumenti personali. Per non parlare della shadow IT, cioè la tendenza dei lavoratori ad appoggiarsi ad applicazioni non autorizzate, come WhatsApp e WeChat. 

L’IT dovrebbe richiedere l’applicazione di best practice che possano essere facilmente comprese e seguite da una forza lavoro che sarà verosimilmente sempre più distribuita, così come sarà più probabile che i lavoratori utilizzino i loro dispositivi personali per le chiamate e le comunicazioni legate al lavoro, intenzionalmente o meno“, afferma Angiulli, che prosegue. “L’IT e le varie linee di business di un’organizzazione devono fornire app e strumenti adeguati che consentano ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro in modo efficiente ed efficace, per facilitare le loro attività in modo che siano conformi alla postura di sicurezza dell’azienda”.

Angiulli suggerisce anche una soluzione a questi problemi: “le aziende devono aggiornare le policy di comunicazione per i dipendenti WFH (Work From Home, che lavorano da casa NdR), con le parti interessate, come IT, compliance e risorse umane, che devono lavorare fianco a fianco per definirle, idealmente fornendo programmi di formazione sulla sicurezza, sulla conoscenza delle policy di comunicazione e sulle revisioni periodiche della compliance. Inoltre, i responsabili della compliance devono assicurarsi che i dipendenti siano particolarmente attenti alle regole relative alle comunicazioni elettroniche, alle attività esterne all’azienda e al trading personale. Il comportamento dei lavoratori e la formazione devono essere percepiti come una partnership e questo è possibile fornendo loro esempi reali, facili da comprendere, per garantire che i dipendenti non siano né timorosi né indifferenti all’adesione alle policy”.

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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