Biologia e robotica si incontrano: nascono gli Xenobot, piccoli bio-robot che guariscono e hanno memoria

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Biologia e robotica si incontrano: nascono gli Xenobot, piccoli bio-robot che guariscono e hanno memoria

Lo scorso anno un progetto di ricerca collaborativo tra i biologi e gli informatici della Tufts University e dell’University of Vermont ha permesso di realizzare minuscole “macchine biologiche” auto-rigeneranti partendo da cellule di rana con il potenziale di muoversi, movimentare piccoli carichi e mostrare forme di comportamento collettivo in una configurazione di sciame. Queste piccole entità furono allora battezzate con il nome di Xenobot, e lo stesso gruppo di ricerca è ora pronto ad mostrare la seconda generazione.


Foto: Douglas Blackiston e Sam Kriegman

I nuovi Xenobot conservano le proprietà dei loro predecessori e in più sono ora in grado di “auto-assemblare” un corpo partendo da cellule singole, non richiedono il movimento delle cellule muscolari e mostrano anche una qualche forma di “memoria”. Rispetto alla precedente generazione sono anche in grado di muoversi più velocemente, spostarsi in ambienti diversi e sono più longevi.

La prima generazione di Xenobot è stata realizzata con approccio cosiddetto “top-down”, cioè posizionando manualmente il tessuto e modellando chirurgicamente la pelle di rana e le cellule cardiache per poter realizzare le capacità di movimento. Per la seconda generazione i ricercatori hanno invece invertito l’approccio, passando alla modalità “bottom-up”, prelevando cellule staminali da embrioni della rana Xenopus laevis e permettendo loro di autoassemblarsi e crescere in sferoidi, dove alcune cellule si sono poi differenziate per produrre ciglia che consentono il movimento.

Michael Levin, Distinguished Professor of Biology e direttore dell’Allen Discovery Center presso la Tufts University e autore corrispondente dello studio, osserva: “Stiamo assistendo alla notevole plasticità dei collettivi cellulari, che costruiscono un nuovo ‘corpo’ rudimentale che è abbastanza diverso dal loro predefinito – in questo caso, una rana – nonostante abbiano un genoma completamente normale. In un embrione di rana, le cellule cooperano per creare un girino. Qui, rimosse da quel contesto, vediamo che le cellule possono riutilizzare il loro hardware geneticamente codificato, come le ciglia, per nuove funzioni come la locomozione. È sorprendente che le cellule possano assumere spontaneamente nuovi ruoli e creare nuovi piani corporei e comportamenti senza lunghi periodi di selezione evolutiva per quelle caratteristiche”.

Ecco gli Xenobot: robot ed esseri viventi insieme. E hanno anche memoria

“Gli Xenobot sono in un certo senso costruiti in modo molto simile ad un tradizionale robot. La differenza è che noi usiamo cellule e tessuti al posto di componenti artificiali, per costruire la forma e creare un comportamento prevedibile. Dal punto di vista biologico questo approccio ci aiuta a capire come le cellule comunicano mentre interagiscono tra loro durante lo sviluppo e come potremmo meglio controllare queste interazioni” spiega Doug Blackiston, scienziato autore dello studio insieme al tecnico di ricerca Emma Lederer.

Gli scienziati della Tufts University si sono concentrati sugli organismi fisici, mentre il team dell’University of Vermont hanno condotto le simulazioni al computer necessarie per modellare diverse forme di Xenobot allo scopo di verificare la possibilità di far loro esibire comportamenti diversi, sia individualmente, sia in gruppo. Le simulazioni sono state condotte con il cluster Deep Green del supercomputer allestito presso il Vermont Advanced Computing Core: gli scienziati ed esperti di robotica Josh Bongard e Sam Kriegman hanno messo alla prova gli Xenobot simulati in migliaia di condizioni ambientali differenti usando un algoritmo evolutivo. Le simulazioni sono state quindi utilizzate per identificare gli Xenobot con le maggiori capacità di lavorare insieme in sciami per raccogliere grandi cumuli di detriti in un campo di particelle.


Foto: Douglas Blackiston e Sam Kriegman

“Pur conoscendo il compito non è affatto ovvio come dovrebbe essere un design funzionale di successo. E’ qui che entra in gioco il supercomputer e cerca nel dominio di tutti i possibili sciami quello che riesce ad eseguire meglio il lavoro. Desideriamo che gli Xenobot compiano un lavoro utile. In questo momento stiamo esplorando compiti semplici, ma l’obiettivo ultimo è un nuovo tipo di strumento biologico che potrebbe, ad esempio, ripulire l’oceano dalle microplastiche o il suolo dai contaminanti” spiega Bongard.

Una caratteristica peculiare di questa seconda generazione di Xenobot è la capacità di memorizzare informazioni. Ciò è stato possibile usando una particolare proteina fluorescente che normalmente si illumina di verde, ma che emette luce rossa se esposta ad una lunghezza d’onda di 390 nanometri. Ciò consente la registrazione di un bit di informazione: la dualità 0/1 del sistema binario viene qui declinata in verde/rosso.

Le cellule degli embrioni di rana sono state iniettate con RNA messaggero codificante per tale proteina, prima che le cellule staminali venissero asportate per creare gli Xenobot. Questi sono ora provvisti di una sorta di “interruttore” fluorescente che può registrare l’esposizione alla luce blu nello spettro dei 390 nanometri. Per mettere alla prova questa caratteristica i ricercatori hanno collocato 10 Xenobot a muoversi liberamente su una superficie in cui una piccola zona è illuminata con un fascio di luce a 390nm. Dopo due ore tre Xenobot emettevano luce rossa, mentre i restanti sette continuavano a brillare di verde, a testimonianza della “registrazione” del passaggio di soli tre bot sul punto illuminato in blu.

Sulla base di questo principio in futuro potrebbero essere elaborati e progettati altri meccanismi che consentano di rilevare e registrare, ad esempio, l’esposizione a contaminazioni radioattive, ad inquinanti chimici o anche a farmaci, in una condizione di malattia. Un ulteriore sviluppo della funzione di memoria potrebbe portare anche alla registrazioni di più stimoli (cioè più bit di informazione) e a meccanismi che consentano di modificare il comportamento dei bot in risposta a determinati stimoli.

Piccoli “robot” ma esseri viventi: guariscono e possono avere un metabolismo

Un’altra caratteristica chiave, propria degli organismi biologici, è la capacità di guarigione, manifestata con efficacia in tutti i piccoli bot che sono stati “feriti”. Ma, sottolineano i ricercatori, vi sono altre proprietà e caratteristiche proprie degli esseri viventi che possono essere sfruttate efficacemente. Una di queste è il metabolismo, che può consentire agli Xenobot di elaborare sostanze chimiche e di farli agire, concettualmente, da piccole “fabbriche” semoventi che possono sintetizzare sostanze e proteine e rilasciarle nell’ambiente se richiesto, in risposta magari ad uno stimolo preciso.


Foto: Douglas Blackiston e Sam Kriegman

La nuova generazione di Xenobot riesce a sopravvivere fino a dieci giorni con le riserve di energia embrionale, ed eseguire compiti se esposti a fonti di energia aggiuntive. La sopravvivenza e le attività si possono estendere fino a molti mesi se gli Xenobot vengono conservati in un “brodo” di sostanze nutritive.

A valle di tutta l’attività di ricerca e sviluppo che ha condotto alla creazione delle due generazioni di Xenobot, la Tufts University e l’University of Vermont hanno deciso di istituire l‘Institute for Computer Designed Organisms, che verrà inaugurato formalmente nei prossimi mesi, e che ha lo scopo di riunire risorse e competenze da qualsiasi ateneo in tutto il mondo per creare “robot biologici” con capacità sempre più avanzate e sofisticate.

L’obiettivo ultimo dei ricercatori non è solamente quello di esplorare le potenzialità di sviluppo e realizzazione dei robot biologici, ma anche una più approfondita comprensione delle relazioni tra l'”hardware” del genoma e il “software” delle comunicazioni cellulari che partecipano alla creazione di tessuti e organi. Questo potrebbe consentire di avere una conoscenza più ampia delle dinamiche che regolano la morfogenesi tissutale, aprendo ad ulteriori sviluppi per la medicina rigenerativa e per il trattamento dei tumori e delle malattie dell’invecchiamento.

Fonte: http://feeds.hwupgrade.it/

 

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